Introduzione
La donna gravida è di solito una giovane in buona salute ma la gravidanza rappresenta un particolare periodo della vita in cui la donna è particolarmente vulnerabile a traumi anche di modesta entità (1-4).
Eventi traumatici (incidenti automobilistici, cadute accidentali, infortuni sul lavoro, aggressioni, violenze domestiche, ustioni) si presentano frequentemente durante una gravidanza (~10%); le cadute rappresentano il più frequente fattore traumatico in gravidanza, seguito dagli incidenti automobilistici; le violenze familiari sono molto più frequenti negli USA rispetto all’Europa. La mortalità materna in seguito ad eventi di questo tipo è complessivamente di circa il 24%, percentuale sottostimata e tendenzialmente in aumento percentuale considerata la diminuita mortalità da altre cause ed ai cambiamenti nello stile di vita delle donne in gravidanza. Secondo l’OMS, 1.000.000 di donne gravide muore ogni anno nel mondo in seguito ad eventi traumatici (59-62).
Statisticamente Il 40% dei traumi in gravidanza richiede un intervento chirurgico e nel 15-20% dei casi si hanno complicazioni materno-fetali che richiedono una prolungata ospedalizzazione. Nei traumi minori i rischi per la madre sono limitati, ma non sempre le conseguenze fetali a breve e medio periodo sono lievi (5-8,103).
Da non sottovalutare è infine il trauma psicologico che può seguire anche ad un evento traumatico banale verificatosi durante la gravidanza, a cui segue spesso una situazione di profondo stress. Condizione che sembra essere risultata in correlazione con un maggior rischio di insorgenza di autismo nel bambino (12,50-52).
MODIFICAZIONI FISIOLOGICHE IN GRAVIDANZA: Nelle traumatizzate gravide occorre tener presente tutta una serie di modificazioni fisiologiche a livello anatomico, emodinamico e biochimico (9).
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Utero: durante la prima settimana l’embrione non è ancora impiantato e resiste bene ai traumi. Dalla seconda alla dodicesima settimana un trauma può creare lesioni dei villi coriali. Dopo la 12a settimana è l’interfaccia utero-placentare a rappresentare il punto di massima fragilità. L’utero nel I° trimestre di gravidanza è intrapelvico e il feto è ben protetto dai traumi contusivi eccetto quelli ad interesse pelvico. L’utero diventa addominale dal 4° mese ed il fondo si eleva di circa 4 cm al mese costituendo l’elemento per valutare con immediatezza l’epoca approssimativa della gravidanza nel caso che la paziente . non possa parlare e si debba decidere per un eventuale cesareo di emergenza; se il fondo dell’utero è all’ombelico si tratta di gravidanza al 5° mese (22 w) ed il feto pesa 250 gr circa, troppo poco per sperare in una sopravvivenza . anche ricorrendo alle più recenti tecnologie di rianimazione neonatale. A fine gravidanza le pareti uterine si assottigliano e l’utero è particolarmente esposto ai traumi addominali con rischio di distacco placentare e rottura specialmente in caso di cesareo pregresso. A termine di gravidanza l’utero è in rapporto in avanti con la parete addominale assottigliata, indietro, fino a L3 è in rapporto con la colonna vertebrale e i grossi vasi; più in alto con duodeno e pancreas. Lateralmente si appoggia sui muscoli psoas incrociati dagli ureteri, a destra è a contatto con appendice, cieco e colon ascendente; Il lato sinistro dell’utero, più anteriore rispetto al destro, entra in contatto con il sigma e le anse del tenue. Il fondo dell’utero solleva il colon trasverso, lo stomaco e il fegato. certa protezione I rapporti fra utero e organi addominali consentono una qualche protezione a quest’ultimo ma complicano molto il percorso diagnostico per rivelare eventuali lesioni si addominali che uterine.
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Placenta: complesso organo di scambio vascolare materno-fetale; ad essa perviene il sangue arterioso materno ad una pressione media di 70-80 mm Hg che giunge ai sinusoidi intervillosi (5-10 mm Hg) e alla vena ombelicale fetale (15 mm Hg). Gli scambi avvengono non per contatto diretto fra i due circoli vascolari ma attraverso la membrana placentare. Eventuali lesioni di questa membrana mettono in contatto il sangue materno con quello fetale con rischio di allo-immunizzazione materno-fetale (80). Il passaggio della barriera placentare avviene principalmente attraverso tre meccanismi: – diffusione semplice per acqua, gas ed elettroliti – diffusione facilitata per alcuni elementi come i glicidi. – transfert attivo per altri elementi come i lipidi e le immunoglobuline A ed M. Tutti i farmaci di dimensioni <600 kDa passano la barriera placentare. Le grosse molecole, come l’eparina e l’insulina, non passano la barriera placentare. Infine la placenta partecipa alla tolleranza materna nei confronti del semi-allografo fetale.
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Liquido amniotico: elemento con funzioni specifiche di protezione per il feto contro i traumi e le infezioni. A termine di gravidanza il feto secerne circa 500 ml di urina e 300 ml di secrezioni bronchiali. La madre partecipa alla produzione alla produzione del liquido amniotico tramite le secrezioni amnio-coriali. Dalla 20a w il LA esplica un’attività battericida grazie soprattutto all’innalzamento della sua pCO2. L’oligoamnios (<250 ml) è causa di parto pretermine, morte fetale, ipossia fetale, IUGR, ipoplasia polmonare fetale, malformazioni cardiache, ossee (malformazioni facciali, piede torto, displasia dell’anca), meconio tinto “meconium staining”, e malformazioni del SNC (81-86).
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L’aumento di peso in gravidanza provoca uno spostamento in avanti del centro di gravità della donna gravida e ciò è di per sé un fattore di maggior rischio di cadute accidentali (65,93). La difficoltà a mantenere l’equilibrio è costante dal 6° mese di gravidanza , anche in donne sane e gravidanza in normale evoluzione, e persiste per 6-8 settimane dopo il parto come dimostrato dai testi di stabilità posturale (93,94).
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Aumentata lassità legamentosa: sotto l’effetto del progesterone si osserva una maggiore lassità dei legamenti (70-72) che facilita l’adattamento del bacino all’aumento del volume uterino ma può essere responsabile dei dolori pelvici e può esporre la gravida ad un aumentato rischio di traumatismo a carico delle articolazioni instabili come le caviglie (73). L’aumentata fragilità della linea bianca diminuisce la resistenza della parete addominale in caso di trauma.
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Organi addominali: il transito intestinale è rallentato per l’effetto rilassante del progesterone sulla muscolatura liscia intestinale. In seguito a trauma, la ventilazione, la supplementazione di ferro e gli analgesici aumentano la costipazione intestinale. Circa il 25% delle gravide soffrono di reflusso gastro-esofageo a causa della compressione gastrica, aumento della secrezione di gastrina e atonia sfinterica. Occorre tenerne conto durante la manovra di intubazione perchè il rischio di inalazione di liquido gastrico è aumentato (77).
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Modificazioni a carico dell’apparato urinario: La vescica si ritrova dislocata in posizione addominale dalla 12a w di amenorrea e ciò la rende particolarmente esposta in caso di trauma. Il progesterone provoca dilatazione degli ureteri e della pelvi renale. Si aggiunga l’effetto compressivo dell’utero gravido e si ha un aumento della frequenza del reflusso vescico-ureterico e è talvolta una vera e propria idronefrosi gravidica. Il rischio di infezione urinaria è aumentato. Il 10% delle donne in gravidanza hanno una batteriuria asintomatica cronica durante il I° trimestre ed un terzo di esse svilupperà pielonefrite se il trattamento di questa batteriuria è trascurato. Questo elevato rischio di infezione comporta una maggiore attenzione in caso di necessità di cateterizzazione vescicale. L’aumento della velocità di filtrazione glomerulare causa una diminuzione della creatinina e urea plasmatica, glicosuria e microalbuminuria (77-79).
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Variazioni toraciche: in caso di intubazione, toracocentesi o toracotomia, va ricordato che l’utero aumentato di volume fa risalire il diaframma di 4 cm ed allargare il torace di 2 cm. Il 30% delle donne soffre di schiacciamento delle vie aeree superiori durante il decubito supino.
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Sistema respiratorio: una ridotta capacità funzionale residua (FRC) della respirazione è compensata dalla iperventilazione ma comporta una ridotta capacità di adattamento a situazioni critiche di sforzi, ipossia o apnea. Il consumo di O2 in gravidanza aumenta del 15% per alimentare il metabolismo ossidativo fetale ma la pO2 è poco modificata. La caduta di pCO2 secondaria all’iperventilazione si accompagna ad ipocapnia e alcalosi respiratoria compensatoria. L’ansietà e il dolore da trauma possono aggravare l’iperventilazione e l’ipocapnia della gravida e provocare parestesie della bocca, dispnea con sensazione di soffocamento e perfino una sincope. Ciò implica la necessità di somministrazione di O2 alle gravide traumatizzate e cautela nella somministrazione di anestetici gassosi.
- Sistema cardio-vascolare: gli estrogeni sono responsabili del dell’accrescimento precoce del debito cardiaco (+20% nel I° trimestre e + 40 alla fine del 6° mese. Si tratta di un aumento sia della gittata cardiaca (+15 mm) che della frequenza cardiaca (+10-15 bpm) e la portata delle arterie uterine passa da 60 a 600 ml/minuto. La pressione arteriosa diminuisce molto leggermente stabilendosi su valori di 110/60. La pressione venosa degli arti inferiori aumenta a causa della compressione della vena cava inferiore. L’ECG può presentare modeste modificazioni come un lieve appiattimento dell’onda T in V1, V2 e DIII e presenza di onda Q in DIII e AVF (74).
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Supine Hypotensive Syndrome ed Effetto Poseiro: Nel corso del III° trimestre il decubito dorsale provoca la compressione della vena cava e dell’aorta da parte dell’utero gravido con una riduzione del calibro di questi due vasi fino al 40% ed un aumento della pressione venosa, fino a 25 mm Hg, a carico delle vene degli arti inferiori. Ciò può provocare uno shock posturale gravidico da decubito (Supine Hypotensive Syndrome). Il peso dell’utero a termine di gravidanza in donne ipotese che mantegono a lungo la posizione supina (per es. durante il sonno) può comprimere non solo la cava inferiore ma anche l’aorta addominale comportando una diminuzione del lume aortico fino al 40% e conseguente diminuzione dell’afflusso di sangue a livello delle arterie ovariche, aa. uterine e del flusso intervilloso con fetale acuta rappresentato in cardiotocografia da bradicardia fetale e decelerazioni tardive. L’evoluzione può essere la Morte Fetale Improvvisa per infarto acuto del miocardio. Spostando la gravida in decubito laterale sinistro di 15-20 gradi o mobilizzando manualmente l’utero di qualche centimetro si ristabiliscono le normali fisiologiche condizioni di irrorrazione venosa e arteriosa. Questi accorgimenti sono indispensabili durante le manovre rianimative e durante il trasporto delle gravide traumatizzate a partire dalla 20a settimana di gravidanza.
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. “Effetto Poseiro” per effetto Posero si intende il calo di pressione sanguigna a livello degli arti inferiori durante una contrazione. In particolare si riduce solo il valore sistolico che si avvicina a quello diastolico e interessa più frequentemente e intensamente l’arto inferiore destro. La diagnosi si pone mediante palpazione del polso pedidio. Per comprendere l’etiologia dell’effetto Posero occorre ripensare al percorso dell’a. iliaca comune dx che nel suo percorso scavalca la 4a vertebra lombare e a quel livello può venire compressa dall’utero durante le contrazioni. Conseguentemente anche l’a. uterina dx riceve meno sangue e il feto può andare in ipossiemia. Nel decubito laterale sinistro questo effetto scompare (121).
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Emodiluizione ed ipervolemia : In gravidanza si assiste ad uno stato di relativa emodiluizione ed ipervolemia (+40% a 34 settimane) con aumento della gittata cardiaca, che sono funzionali ad una riduzione della perdita di globuli rossi in caso di lesioni traumatiche emorragiche e durante il parto. Inoltre la diminuita viscosità del sangue limita l’accresciuto lavoro del cuore. L’ipervolemia a sua volta compensa la fisiologica ipotensione arteriosa a fine gravidanza (da sequestro di sangue nei distretti inferiori del corpo gravidico). Per contro, l’ipervolemia unita alla la diminuzione delle resistenze periferiche crea nella donna gravida una particolare tolleranza all’ipovolemia (fino al 30% di perdita ematica!) alle perdite ematiche con il rischio di sottostimare l’entità di una situazione emorragica; il passaggio da anemia a shock emorragico rischia di essere piuttosto tardivo, misconosciuto in fase iniziale, ma brutale e grave. In caso di emorragia la madre reagisce attivando il suo sistema alfa-adrenergico ma il flusso ematico placentare diminuisce per vasocostrizione delle arterie uterine con ipossia e acidosi fetale allo stesso modo che in presenza di forti contrazioni uterine prolungate o durante somministrazione di farmaci vasopressori. La comparsa di segni di risposta simpatica nella madre (vasocostrizione periferica, marmorizzazione, nervosismo), anche in assenza di una significativa ipotensione arteriosa materna, sono il segnale di una sottostante sofferenza fetale. È pertanto essenziale praticare una rapida reidratazione cristalloide e trasfusione di sangue intero in caso di emorragia materna (75,76). Lo shock ipovolemico materno una volta instaurato, comporta il rischio di morte fetale in oltre l’80% dei casi.
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Aumentata coagulabilità: il numero delle piastrine è poco modificato ma il fattore di Willebrand è costantemente aumentato e ciò favorisce l’emostasi primaria (10). Il fibrinogeno è costantemente aumentato fino a 5-6 g/l; PT, PTT sono diminuiti del 20%; sono aumentati i fattori II, VII, VIII, X e XII. L’AT III è diminuita e c’è un leggero aumento della proteina C compensato dalla diminuzione della proteina S. I fattori V e IX sembrano stabili e i fattori XI e XIII sono leggermente abbassati. Infine si constata una diminuzione della funzione fibrinolitica per alterazione della via di attivazione del plasminogeno. Tutto ciò conduce a migliorare la risposta ad emorragie post-traumatiche (10,66,67). Ma l’ipercoagulabilità aumenta il rischio di patologia trombo-embolica specialmente in caso di allettamento prolungato dopo il trauma. Il rischio di coagulazione intravascolare CID disseminata è aumentato specialmente in caso di distacco di placenta. In quest’ultimo caso un modesto aumento dei D-dimeri non è patognomonico
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Ipoalbuminemia: si traduce in una diminuzione della pressione oncotica plasmatica con aumentato rischio di edema polmonare. Inoltre l’ipoalbuminemia induce un aumento delle frazioni libere di molti ormoni in circolo e anche di diversi farmacie e ciò vale particolarmente per gli anestetici centrali per cui si ha un aumento notevole del loro effetto anestetizzante anche per dosi modeste (68).
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Il sistema regolatore idro-salino è conservato durante la gravidanza. Tuttavia l’ampiezza di questa risposta è limitata a causa della diminuzione della proteinemia.
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VES: L’aumento della velocità di eritrosedimentazione (40-50 mm nella prima ora) è secondario all’aumento del fibrinogeno (69) e quindi è inutile il suo dosaggio durante tutta la gravidanza.
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Glicemia: è diminuita in gravidanza per la facilità di utilizzare i lipidi come fonte di energia da parte della gravida risparmiando glicidi e proteine che vengono preferenzialmente utilizzati per la crescita fetale. Diminuiscono in gravidanza pure l’azotemia e l’uricemia.
Tab. 1:MODIFICAZIONI FISIOLOGICHE GRAVIDICHE E RELATIVI EFFETTI |
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MODIFICAZIONI MATERNE |
PRINCIPALI CONSEGUENZE |
Ipervolemia + Emodiluizione |
Migliore risposta all’emorragia |
Diminuita funzionalità polmonare |
Minore tolleranza all’apnea |
Stasi apparato gastrointestinale |
aumentato rischio di s. ab ingestis |
Aumento volume uterino Stretching peritoneale |
Esame addominale difficoltoso minore irritabilità peritoneale |
Aumentata sensibilità agli anestetici |
Aumento rischio di perdita di coscienza |
Ipercoagulabilità |
Maggiore rischio tromboembolia |
Aumento flusso plasmatico renale e aumento del filtrato glomerulare aumento di peso |
Diminuzione albuminemia e creatininemia maggiore pericolo per le cadute accidentali |
In considerazione di tutto ciò, è consigliabile che le traumatizzate gravide vengano valutate da un’equipe multidisciplinare che preveda la presenza di un ostetrico, chirurgo d’urgenza, un medico internista, un radiologo ed eventualmente un neonatologo che valuti le possibilità quoad vitam et valitudinem del neonato.
MECCANISMI TRAUMATICI
I traumatismi diretti sono i più frequenti (70%) e sono rappresentati soprattutto da cadute accidentali, incidenti automobilistici e aggressioni (15,16). Le conseguenze più frequenti sono il distacco di placenta e la rottura d’utero. I traumatismi fetali diretti sono possibili ma poco frequenti perchè il liquido amniotico permette una buona difesa fetale dai traumi contusivi.
Traumi da caduta o contusivi: Fino al 3° mese, l’utero è intrapelvico ed è ben protetto dai traumi contusivi o da caduta. Dal 4° mese l’utero si affaccia nell’addome ed è vulnerabile ai traumi contusivi che sono in assoluto i più frequenti (27%) in gravidanza (87-90) e si osservano più frequentemente nelle donne giovani (20-25 anni) rispetto alle gravide over 35 (91).
Oltre a lesioni a carico dell’utero i traumi contusivi possono determinare fratture pelviche, emorragie retroperitoneali, embolia da villi coriali (21). A carico del feto si possono osservare fratture craniche (18), emorragie intraventricolari (19) e fratture ossee (20), abruptio placentare, La mortalità materna da trauma contusivo è del 7% mentre la mortalità fetale è del 3% anche in caso di assenza di lesioni visibili a carico dell’utero ed in assenza di perdite ematiche (99-102).
L’esame clinico non è dirimente per le modificazioni anatomiche tipiche della gravidanza e per la diminuita risposta irritativa peritoneale in seguito allo “streching” di quest’ultimo a causa delle aumentate dimensioni uterine, per cui è sempre opportuno ricorrere ad un esame strumentale.
Utilizzando scarpe a mezzo tacco, comode, ben calzanti, con listino alto; meglio ancora stivaletti a mezzo tacco che bloccano le caviglie la percentuale di cadute accidentali in gravidanza diminuiscono grazie al bloccaggio delle caviglie (92,93).
Gli incidenti automobilistici costituiscono la principale causa di morte fetale per patologie non ostetriche (17). Interessano il 3% di tutte le gravidanze (104-109).
E’ importante ricordare che l’uso delle cinture di sicurezza durante i viaggi in auto, obbligatorio in Italia da oltre 20 anni, in caso di incidente riduce del 70% il rischio di eiezione dall’auto che è la prima causa di morte per incidente d’auto.
Negli anni ’60 le cinture di sicurezza furono messe sul banco degli imputati con l’accusa di aver aumentato la gravità delle complicanze ostetriche in caso di incidente d’auto ed in particolare il distacco di placenta. Ma si trattava delle cinture “a 2 punti” che effettivamente, in caso di impatto, esercitavano una pressione sull’utero che si sommava all’effetto di brusca decelerazione e al ripiegamento del busto in avanti. L’introduzione di una cintura “a tre punti”: ha risolto in gran parte il problema. Essa deve essere posizionata trasversalmente sulla parte alta delle gambe ed diagonalmente in modo da comprendere una parte laterale dell’addome in prossimità della cresta iliaca, mai sulla parte inferiore dell’addome, passi nel solco intermammario, sulla clavicola e termini dietro la spalla dal lato opposto a quello iniziale.
L’utilizzazione di una cintura “a 2 punti” è da evitare assolutamente anche se essa è preferibile all’assenza totale di cinture. La soluzione ottimale sarebbe utilizzare cinture “a 4 punti” in modo da formare in alto un incrocio diagonale tipo croce di Sant’Andrea o pilota di aereo (22). In caso di corretta apposizione delle cinture di sicurezza è opportuno disinserire l’airbag. Numerose complicanze materno-fetali, anche la morte, si sono verificate per lo scoppio di questo strumento in caso di incidente se la persona che viaggia accanto al guidatore è una donna gravida (21-24). La normativa vigente in merito, risalente al 4 agosto 1989, legge n. 284, è abbastanza perentoria: l’esenzione per le donne in stato di gravidanza è ammissibile sono sulla base di certificazione rilasciata dal ginecologo curante che comprovi condizioni di rischio particolari conseguenti all’uso delle cinture di sicurezza.
Traumatismi materni gravi sono quasi sempre associati a gravi complicanze fetali ma non sempre la minore gravità materna equivale a leve gravità fetale (110-112).Spesso traumi materni di scarsa entità nascondono gravi traumi fetali misconosciuti e sottostimati ma gravi (fratture craniche, fratture degli arti, fratture del rachide, emorragia cerebrale, emorragia subaracnoidea) (113,114).
AGGRESSIONI: si tratta quasi sempre di liti familiari con percosse o aggressioni sessuali. Sono molto più frequenti negli USA che in Europa (115-117). Le complicazioni più frequenti sono l’aborto, la minaccia di parto prematuro ed il distacco di placenta. La morte fetale si osserva nel 6% dei casi. (118,119)
TRAUMI PENETRANTI
Nella letteratura internazionale sono riportati numerosissimi casi di lesioni materno-fetali da arma da fuoco e da taglio con un’ampia e variegata campionatura di sequele che va dalla patologia utero-placentare alla sezione distale dell’aorta. Inoltre causano la morte del 14 % delle gestanti coinvolte in questi eventi (4) e negli Stati Uniti il 36% delle morti materne è successivo a questo tipo di lesioni. La mortalità fetale è in media del 50 % dei feti raggiungendo in alcuni Stati degli USA anche il 70%.
Determinano più spesso danni diretti a carico del feto, della placenta e del cordone, oltre a shock materno; le lesioni uterine sono più gravi se a carico della parete posteriore rispetto alla parete anteriore od alla zona fundica.. Il management consiste in un attento monitoraggio rispettando l’outcome materno-fetale.
Scarica accidentale di corrente elettrica (folgorazione o elettrocuzione) in ambienti domestici, può avvenire, generalmente, o per contatto diretto con elementi normalmente in tensione, come prese di corrente o cavi elettrici scoperti, o per contatto indiretto con apparecchiature elettriche, come frigoriferi, lavatrici o lavastoviglie, che per un guasto possano risultare non più correttamente isolate. La folgorazione sull’organismo può avere effetto mortale o essere causa di ustioni, arresto cardiaco, fibrillazione ventricolare, paralisi respiratoria, lesioni degenerative dei muscoli e del sistema nervoso sia nella madre che soprattutto nel feto che è assai meno resistente allo shock elettrico (120-128). Inoltre sia il liquido amniotico che i vasi utero-placentari sono a bassa resistenza e quindi a maggior rischio.
La soglia di tensione minima considerata pericolosa è di 120 V in corrente continua e 50 V in corrente alternata. Una volta che sia possibile toccare la vittima senza correre alcun rischio, si devono rapidamente valutare le funzioni vitali (p. es., i polsi radiale, femorale o carotideo, la funzione respiratoria e lo stato di coscienza). Il primo provvedimento sarà rivolto ad assicurare la pervietà delle vie aeree. Se sono assenti movimenti respiratori spontanei o se è in atto un arresto cardiaco, è necessario provvedere immediatamente alla rianimazione cardiopolmonare. La valutazione di base per tutti i danni da elettricità comprende un ECG, gli enzimi cardiaci, un emocromo completo e l’analisi delle urine, ponendo particolare attenzione alla mioglobina. Inoltre, se esiste il sospetto di un danno cardiaco, di aritmie o è presente dolore toracico, è indicato un monitoraggio cardiaco per 12 h (120-127). Qualsiasi deterioramento dello stato di coscienza rende imperativa l’esecuzione di una TC o di una RMN, per escludere eventuali emorragie intracraniche. Successivamente si valuterà il benessere fetale e placentare con esame ecografico e cardiotocografico, con monitoraggio per almeno 72 ore (128-131) e a distanza di 15 e 30 giorni perché alcune situazioni patologiche come il minaccia di aborto, morte fetale, distacco di placenta, anche parziale, ematomi retroplacentari, oligo-anidramnios, IUGR possono osservarsi solo a distanza dall’evento traumatico (132-137).
Ustioni gravi (3° e 4° grado): il 4% circa delle donne vittime di gravi ustioni sono gravide. Le complicazioni (ipossia da inalazione di fumo, ipotensione, ipovolemia, perdite di elettroliti) nelle gravide sono peggiorate dalle modificazioni dello stato gravidico (138-141). La mortalità materna raggiunge il 25% per ustioni >50% e 100% per ustioni >80%. Il parto prematuro si osserva abitualmente in caso di ustioni >30%. Prima delle 28 settimane, la sopravvivenza fetale dipende dalle condizioni della madre. Dopo le 28 settimane, in caso di ustioni >50%, è opportuno indurre il parto (preferibilmente con Taglio cesareo) appena la maturità fetale lo consente (142-144).
POLITRAUMATISMI
Le complicanze ovviamente, sono gravissime. La sopravvivenza fetale è strettamente legata a quella della madre. L’assistenza rianimatoria della madre deve essere immediata ed intensiva. Lo schema da seguire è quello classico che prevede ossigenazione intensiva, attività cardiaca e ripristino del volume circolatorio. Il taglio cesareo di urgenza ha 2 indicazioni: facilitare la rianimazione materna o permettere la sopravvivenza del feto se la rianimazione materna fallisce. Si può sperare in una sopravvivenza fetale del 15% dopo la 26a settimana (145-151).
Complicanze materno-fetali
Le più temibili conseguenze materno-fetali di un trauma occorso durante la gravidanza sono: morte materna (24%); minaccia di parto pretermine (55%); distacco intempestivo di placenta normo-inserta (28%); rottura d’utero (0,6%); emorragia materno-fetale (22,23) e patologie fetali (6%), morte fetale (10-14%), raggiungendo picchi anche >90% in caso di rottura d’utero (24). Lesioni materne (frattura cranica, contusione od emorragia cerebrale, lesioni toraco-addominali gravi richiedenti intervento chirurgico, fratture della pelvi). Il più comune problema ostetrico post-traumatico è l’insorgenza precoce di attività contrattile uterina (25). Essa è dovuta alla secrezione di prostaglandine da parte delle cellule miometriali e deciduali lesionate. Nel 90% dei casi il travaglio termina da solo, la sua ulteriore progressione è legata a diversi fattori quali: epoca gestazionale, entità del danno e delle prostaglandine rilasciate. Controversa è l’efficacia dell’utilizzo dei tocolitici.
In relazione alle condizioni fetali è da sottolineare come queste dipendono direttamente da quelle materne, e solo a seguire da altri fattori, tra i quali: età gestazionale e stadio di sviluppo raggiunto; tipo e severità del trauma; presenza di trauma uterino e sua gravità. Lesioni dirette sono più frequenti in fasi avanzate della gestazione ed in seguito a traumi penetranti (fratture, emorragie intracraniche). In particolare, la sopravvivenza del feto dipende dalla perfusione uterina e questa a sua volta dalla pressione sistemica materna; di conseguenza una diminuzione di quest’ultima determinerà vasocostrizione periferica e quindi anche uterina. In caso di manifesto shock materno la possibilità di sopravvivenza fetale è del 20% (154-157) .
Distacco di placenta normoinserita
Tra le possibili conseguenze di trauma questa è una delle più temibili e frequenti. E’ provocata dalla separazione del piatto placentare anelastico dall’utero in contrazione tetanica riflessa. La sua incidenza è >50% in seguito a traumi maggiori e 2-4% nei traumi minori (26,27). La morte fetale purtroppo si osserva nel 50-70% dei casi e il distacco di placenta rappresenta la causa più frequente (30-70%) di morte fetale da trauma (214-216).
I caratteristici segni clinici di insorgenza sono sanguinamento dai genitali esterni; alterazione della frequenza cardiaca fetale, assenza di BCF, contrazioni uterine, ipertonia uterina, emorragia, ipovolemia materna, variazione della frequenza cardiaca fetale (distress fetale), alterazioni della coagulazione (CID). L’emorragia può essere interna, esterna o mista. Perché l’emorragia si manifesti all’esterno è necessario che al distacco, più o meno completo della placenta, segua lo scollamento delle membrane, e per questo molto spesso è un’emorragia tardiva. La quantità è generalmente scarsa e può presentarsi a stillicidio o con coaguli. Quando invece, per resistenza delle membrane allo scollamento, o per atresia del collo o perché la testa è già impegnata nello scavo, il sangue non può defluire all’esterno, si raccoglie internamente; qui può mantenersi semiliquido o trasformarsi in coaguli; la quantità può essere notevole: >1 litro o anche più (215-218).
Tuttavia l’assenza di sintomatologia o evidenza di lesioni non necessariamente indica che la placenta è ben inserita, quindi è buona regola in occasione di ogni trauma eseguire un controllo ecografico e cardiotocografico (l’accuratezza diagnostica della cardiotocografia è maggiore rispetto all’ecografia). Difatti, se da un canto molti AA. sono d’accordo nel ritenere sufficiente un monitoraggio di 2-3 ore dall’intercorrere del trauma in caso di assenza di segni o sintomi clinico-strumentali che possano indicare una situazione di pericolo, dall’altro nella letteratura nazionale ed internazionale sono riportati casi di distacco placentare anche dopo 5 giorni dal trauma tanto che si fa sempre più forte la corrente di quei ricercatori che propongono un monitoraggio base di almeno 48 ore, termine entro il quale si ha la manifestazione del gran numero di complicazioni. Temibile conseguenza del distacco di placentare post-traumatica tardiva è l’acuta isoimmunizzazione Rh con eritroblastosi fetale conseguente all’esposizione ad una massiva emorragia con trasfusione feto-materna in seguito al distacco manifestatosi anche alcuni giorni dopo l’incidente. In previsione di tale evento, in caso di trauma che coinvolga una madre Rh-negativa bisognerebbe mettere in atto ogni possibile intervento atto a prevenire una acutizzazione della sua risposta immunitaria (28).
ROTTURA UTERO
La rottura completa d’utero post-traumatica in donna gravida si verifica raramente (0.6%) ma è causa di gravissime complicazioni: la morte della gravida si osserva nel 25% dei casi e la morte fetale nel 70% dei casi (152-155). La sintomatologia è molto evidente e si manifesta con dolori fortissimi all’addome, abbondanti perdite ematiche vaginali, ipotensione e tachicardia. L’utero si presenta atonico se il feto è stato espulso in cavità addominale. Le parti fetali si apprezzano facilmente alla palpazione addominale. Il trattamento consiste in una laparotomia di emergenza appena stabilizzate le condizioni materne secondo il classico protocollo ABC di rianimazione. Dopo l’estrazione del feto e degli annessi, si bloccano le fonti emorragiche e si valuta l’opportunità di suturare le lacerazioni o di procedere all’isterectomia sub-totale se la lacerazione non è orizzontale e non è a carico del segmento inferiore e/o se la sutura è difficoltosa o l’emostasi non offre garanzia di sicurezza assoluta (154-156). 1-2 drenaggi a sistema chiuso vengono posizionati in cavità addominale. Un tentativo di cesareo post-mortem va fatto se vi sono segni di vitalità fetale. La rottura completa d’utero spesso è complicata da lesioni a carico degli organi addomino-pelvici viciniori. Si parla di rottura d’utero incompleta quando sono
lesionate la parete miometriale e la mucosa uterina mentre la sierosa è integra. In tale ultimo caso l’outcome fetale è nettamente migliore (157-160) e lo shock e l’anemia materna sono meno gravi mentre l’emorragia vaginale è più abbondante. Nella rottura silenziosa mancano i segni di sofferenza fetale e shock materno, l’emorragia vaginale è modesta o può mancare e il dolore addominale è modesto e non patognomonico (161,162).
La diagnosi differenziale va effettuata con:
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distacco di placenta
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perforazione intestinale
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rottura di milza
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lacerazione aortica
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lesione ovarica
MINACCIA DI ROTTURA D’UTERO
La paziente è ansiosa, lamenta dolori al basso ventre, il polso presenta una frequenza >80 bpm. La palpazione addominale permette di valutare la durezza delle pareti del corpo uterino e la sottigliezza dell’istmo, porzione di utero posto fra corpo e collo. Il limite superiore del segmento inferiore è la vena coronaria a decorso circolare e/o il limite superiore di adesione lassa del peritoneo viscerale sulla sierosa uterina. Il limite inferiore dell’istmo (o segmento inferiore dell’utero) è l’orifizio uterino interno anatomico. L’istmo si assottiglia e allunga in gravidanza passando da 2 cm a 10 cm al 6° mese e fa assumere all’utero la forma di una clessidra. In caso di minaccia di rottura d’utero, si distende e assottiglia ulteriormente permettendo di apprezzare parti fetali e presentando un cercine obliquo (cercine di retrazione di Bandl, Bandl’s ring) che tende a spostarsi dal basso in alto (163). Alla osservazione CTG si evidenziano segni di grave sofferenza fetale o assenza del BCF.
Minaccia di aborto: il traumatismo dell’utero provoca il rilascio in circolo, da parte delle cellule deciduali, di lisosomi che libera acido arachidonico, precursore delle prostaglandine dotate di proprietà contratturanti. E’ imperativo quindi sottoporre le donne gravide traumatizzate a cardiotocografia prolungata e ripetuta, riposo a letto, terapia con progesterone e antispastici (164-174). L’esame USG dovrebbe essere effettuato anche a vescica piena per la cervicometria e la valutazione dell’orificio uterino interno la cui dilatazione precede quella dell’OUE e non è valutabile con la semplice visita ostetrica e con l’esame con speculum. La dilatazione dell’OUI oltre che direttamente osservabile, è desumibile dall’accorciamento del canale cervicale e dalla presenza del fenomeno “funneling” anche in assenza di contrazioni e/o di perdite ematiche (175-177).
Rottura prematura delle membrane (PROM): è la rottura delle membrane amnio-coriali, che determina perdita di liquido amniotico e può determinare perdite vaginali, perdite ematiche, sensazione di pressione a livello pelvico prima dell’inizio del travaglio di parto, indipendentemente dall’età gestazionale in cui si verifica l’evento. La diagnosi viene fatta mediante l’anamnesi, l’esame obiettivo, la visita ostetrica e l’ecografia. La PROM può complicare la minaccia di aborto per il rischio di infezioni intracavitarie e malformazioni uterine, soprattutto se la gravidanza è <24 w. La diagnosi è basata sull’osservazione diretta della perdita di liquido amniotico e sulla conferma ecografica della quantità di LA in cavità amniotica (178-184). In assenza di perdite visibili di LA e, per escludere rotture eccentriche del sacco amniotico, occorre effettuare una misurazione del pH vaginale che normalmente ha un valore <4.5 mentre in presenza di LA si osserva un pH 7. oppure. La determinazione di d’IGFBP-1 (Insulin Growth Factor Binding Protein-I) è un test più complesso ma specifico.
Il management prevede un adeguato counseling da parte del ginecologo e del neonatologo, fornendo alla gestante/coppia le informazioni sulle scelte ostetriche. La profilassi con antibiotici per almeno 7 giorni è obbligatoria per diminuire il rischio di corionamnionite e il parto per via vaginale o laparotomica è da prendere in considerazione se la gravidanza ha superato la 34asettimana o se le probabilità di sopravvivenza fetale sono accettabili. A scopo profilattico, per la prevenzione della sindrome da membrane ialine si somministrano im 12 mg di betametasone eventualmente da ripetere per 2-3 giorni, se possibile. In caso di notevole riduzione della quantità di liquido e necessità di prolungare la gravidanza si può ricorre all‘amnioinfusione di soluzione fisiologica (Sodio Cloruro 0,9%) tramite un ago ecoguidato. In pratica è la procedura opposta all’amniocentesi: invece di togliere liquido lo si inserisce dall’esterno, generalmente in modesta quantità (100-400 ml) a cadenza settimanale. L’amnioinfusione riduce il rischio di ipoplasia polmonare fetale, alterazioni scheletriche, sindrome da aspirazione di meconio (185-189).
EMORRAGIA MATERNO-FETALE (HMF)
Si tratta del passaggio di sangue fetale nella circolazione materna; i rischi sono: alloimmunizzazione, anemia ed ittero fetale (190-192). Durante un trauma, l’HMF è 5 volte più frequente rispetto alle gravidanze di controllo. L’alloimmunizzazione interessa soprattutto (70%) il fattore Rh e nel 90% dei casi richiede un trattamento antenatale (193-197).
Il test di Kleihauer permette di valutare quantitativamente il passaggio di sangue fetale nella circolazione materna. Il test è economico e semplice ma di difficile standardizzazione. Un altro limite è rappresentato dall’elevata frequenza di falsi positivi soprattutto in gravide con produzione elevata di HbF in gravidanza. Recentemente è stata introdotta una nuova tecnologia, la citometria a flusso, precisa ma costosa (198-201).
Non sempre l’entità della HMF è correlata alla gravità del trauma.E’ perciò obbligatorio somministrare sempre e subito una dose di Immunoglobuline anti-D (250 UI o 300 mcg) im alla gravida RH negativa sottoposta a trauma, a scopo profilattico per impedire la produzione di anticorpi materni contro le emazie fetali eventualmente RH negative. In caso di test positivo per HMF occorre somministrare ulteriori dosi di Immunoglobuline in rapporto di 1/2 dose ogni 20 emazie/10.000 emazie materne fetali riscontrate ai test (202-205). Il 17% delle donne Rh negative a cui non vengono somministrate immunoglobuline anti-D, in gravidanza o dopo il parto, svilupperà anticorpi anti-D, che possono, solitamente nelle gravidanze future, dare un’anemia nota come malattia emolitica del feto, che nei casi più gravi può condurre a morte intrauterina del feto.
La trasfusione fetale di in utero (IUT) di emazie di gruppo O Rh negativo, sotto guida ecografica, è la terapia standard in caso di gravi anemie fetali; la trasfusione è effettuata se l’HCT fetale è <30. USG con Color-Doppler dell’a. cerebrale media è effettuata preventivamente per misurare il picco di velocità sistolica (MCA – PSV) come indicatore della severità dell’anemia fetale. L’a. cerebrale media è individuata con scansione assiale comprendente i talami, la cavità del setto pellucido e il circolo di Willis. Le sedi di somministrazione della trasfusione sono le arterie ombelicali o la vena ombelicale, preferibili all’accesso intraperitoneale fetale, perché permette un migliore assorbimento e sopravvivenza delle emazie rispetto alla via transaddominale. Si utilizza un ago 22 G che viene avvicinato alla vena ombelicale o aa. uterine dove viene introdotto con un colpo piuttosto deciso.
Frequenti sono però le complicanze della IUT: morte fetale (1-3%), bradicardia fetale, ematomi e
Embolia polmonare da liquido amniotico (Amniotic Fluid Embolus Syndrome, AFES): evento drammatico, per fortuna molto raro, di difficile diagnosi, interpretazione e trattamento (219-222). La diagnosi in genere è effettuata per esclusione di altre patologie. Inizialmente la gravida presenta cianosi, dispnea e tachipnea severa. Se non trattata insorgono edema polmonare fulminante, convulsioni non trattabili, aritmia cardiaca maligna e arresto cardiaco nell’85% circa dei casi nonostante adeguata ed immediata terapia e rappresenta il 10% delle morti di donne in gravidanza (223-230). La diagnosi può essere confermata dalla presenza di capelli fetali e cellule squamose fetali nel sangue, nella saliva e nel ventricolo sinistro materni. La patologia è scatenata dal passaggio di liquido amniotico nel circolo materno ma il meccanismo fisiopatologico è poco conosciuto. I dati raccolti dal National Amniotic Fluid Embolus Registry suggeriscono che il processo è immunomediato, più simile all’anafilassi che all’embolismo e il termine Anaphylactoid Syndrome of Pregnancy è stato proposto perché non sempre i componenti classici del liquido amniotico sono stati trovati nell’AFE (231-233). Nonostante i progressi nella terapia, l’outcome di sopravvivenza della gravida affetta da AFES è ancora drammaticamente scarso. L’estrazione immedita del feto consente una sopravvivenza dell’80% ma di questi solo il 50% non presentano encefalopatia ipossica ed emorragia intraventricolare (222-233).
L’embolia da villi coriali, descritta per la prima volta da Schmorl nel 1893, è ancora più rara dell’AFES e si verifica in caso di traumatismi molto gravi (234-238). La sintomatologia e il management sono simili all’AFES (239).
PNEUMOTORACE IPERTESO
Si determina per il progressivo accumulo di aria sotto tensione nello spazio pleurico.L’aria può provenire da una ferita o della parete o della superfice del polmone con l’instaurarsi di un meccanismo a valvola. Ciò determina collasso del polmone omolaterale e nelle fasi più avanzate lo sbandamento del mediastino controlateralmente con compromissione del ritorno venoso e anche della ventilazione controlaterale.
La diagnosi di pneumotorace iperteso è clinica e non radiologica e questo può essere sospettato in presenza dei seguenti segni:
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enfisema sottocutaneo
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riduzione o assenza del murmure vescicolare monolaterale con iperfonesi
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ipossiemia e tachipnea e molto tardivamente cianosi conclamata
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shock circolatorio
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deviazione della trachea ed ingorgo delle giugulari
In presenza di un fondato sospetto si procede già alla detensione provvisoria del pneumotorace inserendo, per tutta la sua lunghezza, un ago-cannula di grosso calibro (14-16 Gauge) al secondo spazio intercostale, leggermente di lato all’emiclaveare, seguendo il margine superiore della costa sottostante.La manovra va effettuata appena sospettato il PNX iperteso anche in ambiente extraospedaliero, in attesa poi di posizionare un drenaggio definitivo. E’ possibile collegare alla cannula, da cui si è estratta l’ago metallico, un meccanismo a valvola tipo Heimlick. Nel caso vi siano dubbi sulla diagnosi, la stessa può essere confermata effettuando la cosiddetta puntura esplorativa che consiste nell’inserire, nello stesso punto di repere di cui sopra, un ago di piccolo calibro (21 Gauge) attaccato ad una siringa priva di stantuffo e riempita con 2-3 cc di soluzione fisiologica. Si osserverà la eventuale fuoriuscita di bolle aeree attraverso la soluzione, indice di aria sotto tensione nel cavo pleurico; in tal caso, estratto l’ago di piccolo calibro, si inserisce quello di grosso calibro per la detensione. Recentemente viene proposta la minitoracotomia per la decompressione del PNX iperteso; questa viene effettuata praticando una incisione della parete toracica sull’ascellare media tra IV e V costa fino all’apertura con il dito esploratore del cavo pleurico; si determina in tal modo un PNX aperto che può essere gestito al meglio solo se il paziente è già intubato e ventilato a pressione positiva ed avendo già diagnosticato il PNX con la puntura esplorativa.In alternativa, in caso di paziente non intubato occorre almeno posizionare una medicazione a lembo chiusa su tre lati (fig. IV-4) che permetterà la fuoriuscita dell’aria sottotensione ma non il rientro della stessa nel cavo pleurico durante l’inspirazione.
Work-up diagnostico
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Anamnesi patologica remota e prossima generale ed ostetrica della paziente al fine di individuare tra l’altro la presenza di fattori che possono influenzare le scelte terapeutiche.
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Esame obiettivo: valutazione dell’aspetto della paziente: presenza di contusioni e lacerazioni, decubito se indifferente o obbligato, integrità del sensorio, polso se valido ed euritmico, cute e mucose se rosee o pallide, lingua se umida o secca, valutazione del dolore spontaneo e provocato. La pressione arteriosa, anche se nella norma, da sola non è sempre sufficiente per diagnosticare precocemente eventuali emorragie interne. La palpazione addominale permette di stimare l’altezza del fondo dell’utero e il tono delle pareti uterine. L’ascoltazione addominale con lo stetoscopio ostetrico permette di valutare approssimativamente il BCF. Il bacino deve essere esaminato accuratamente per escludere eventuali fratture pelviche che possono accompagnarsi a lesioni vescico-uretrali materne o del cranio fetale. L’esplorazione ostetrica bimanuale permette una valutazione del volume e consistenza dell’utero e le modificazioni del collo dell’utero. L’esame speculare evidenzia eventuali perdite di liquido amniotico o sangue.
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Esami di laboratorio: il dosaggio della beta-HCG è di scarsa importanza nell’immediato, l’emocromo, la sideremia e i test di coagulazione (PT, PTT, AT III, fibrinogeno, D-dimero) sono fondamentali come la valutazione del pH del sangue materno. L’acidosi materna è un buon marker di sofferenza fetale (269-282).
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Lavaggio peritoneale diagnostico (DPL) Alcuni studi hanno indicato il lavaggio peritoneale, come tecnica di grande utilità a fini diagnostici; essa rappresenta nel primo trimestre la metodica di seconda scelta dopo l’ecografia prima della TAC o RMN (241), in particolare in caso di sospetta emorragia interna da trauma contusivo per cui l’esame obiettivo esterno non è dirimente in quanto l’aumento di volume uterino disloca gli organi addominale e stira il peritoneo diminuendo la risposta irritativa peritoneale (242-244). L’accesso è ottenuto mediante una piccola incisione sotto-ombelicale di cute, fascia e peritoneo. Se non si ha una macroscopica fuoriuscita di sangue già all’apertura, si procede all’introduzione di un catetere da dialisi peritoneale che deve giungere fino alla pelvi. Quindi si iniettano 1.000 cc di soluzione Ringer che defluirà all’esterno limpido o contaminato dal sangue o altro materiale. Il test risulta positivo per una quantità di globuli rossi >100.000/litro o di leucociti >500/litro; inoltre si potrà evidenziare anche la presenza di amilasi, bile o contenuto intestinale. Un caso di DPL-test positivo, si procede a laparotomia esplorativa che solo nel 50% dei casi dimostra la necessità di un intervento chirurgico. Perciò è raccomandabile, nei limiti del possibile, associare sempre TAC (o RMN) e angiografia (245). Tale tecnica, i cui svantaggi maggiori sono l’invasività e la mancanza di organo-specificità, può essere praticata solo nel primo trimestre; a gravidanza inoltrata l’utero aumentato di volume può interferire con la progressione del catetere verso la pelvi e con il ritorno di fluido (246).
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Ultrasonografia: Non può mancare un controllo ecografico per evidenziare l’eventuale presenza in addome di liquido ematico, biliare o di altra origine (FAST, “Focused Abdominal Sonography for Trauma”) come metodica di prima scelta per i traumi addominali in gravida per la rapidità e facilità di esecuzione (247), comfort per la paziente, ripetibilità, non invasività e assenza di controindicazioni (248-255). La scansione ecografica potrebbe rivelare anche la presenza di liquido in area pericardica e pleurica sfruttando la finestra acustica xifoidea, anche con apparecchio portatile e possibilità di porre la diagnosi addirittura prima del ricovero in ospedale (256). Inoltre può evidenziare lesioni a carico di fegato, reni, vescica, milza, utero con alta specificità ma con minore sensibilità rispetto alla TAC e RMN soprattutto nei confronti di alcuni organi come il pancreas (257). Ma soprattutto gli ultrasuoni ci permettono di indagare sulle condizioni feto-placentari: placenta previa, distacco intempestivo di placenta normalmente inserta, quantizzazione del liquido amniotico, movimenti fetali attivi e respiratori fetali, flussimetria ombelicale, prolasso del funicolo (258-262). L’USG, infine, può essere indicata anche a scopo terapeutico per eseguire una paracentesi ecoguidata (263-269).
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Cardiotocografia Le condizioni fetali vanno sorvegliate in continuo tramite la CTG che permette di indagare allo stesso tempo sulla attività contrattile uterina: indice di minaccia di parto pretermine ed anche di distacco di placenta; e sulla attività cardiaca fetale: FHR, variabilità basale, numero e tipo di decelerazioni, insorgenza di bradicardia e tachicardia, movimenti fetali. Questa tecnica permette una diagnosi precoce di sofferenza fetale indicandone spesso anche la causa. Del resto è stato ampiamente dimostrato come la combinazione di cardiotocografia ed ultrasonografia raggiunga la più alta sensibilità e specificità nel monitorare le condizioni materno-fetali. Il monitoraggio dovrebbe essere iniziato nella sala rianimazione e continuato per almeno 4 ore in pazienti asintomatiche. Non meno di 24 ore di monitoraggio sono raccomandate, invece, per pazienti con attività contrattile uterina (>1/10 minuti), ipertonia uterina, PROM, metrorragia, o ipertensione (284-288).
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Indagini radiologiche Queste metodiche vanno prese in considerazione solo se di “vitale” necessità ed in tal caso non ci deve essere alcuna esitazione nonostante l’eventuale somministrazione del mezzo di contrasto per os o per via endovenosa (29). Sicuramente l’esposizione fetale alle radiazioni ionizzanti va sempre valutata e qualsiasi paziente donna tra 12 e 50 anni andrebbe considerata gravida fino a dimostrazione contraria. La dose di radiazioni assorbita dal feto dipende da numerosissimi fattori, tra cui ricordiamo: equipaggiamento adottato, tipo di indagine, numero di radiogrammi, peso materno e volume uterino, peso fetale. I maggiori rischi dell’esposizione del feto alle radiazioni ionizzanti includono: malformazioni congenite, ritardo di crescita, neoplasie postnatali e morte. Un’esposizione di 10 mGy multiplica per 4 volte il rischio di cancro prima dell’età adulta. Diversi studi mostrano che l’esposizione del feto a meno di 5-10 rad non incrementa significativamente l’insorgenza degli effetti collaterali riportati in tabella. La maggior parte degli esami radiologici prevede un’esposizione <3 rad. In ogni caso le parti del corpo non soggetto di esame vanno schermate. Se sono necessarie molte immagini, è bene utilizzare un dosimetro termoluminescente esterno od un monitor di radiazioni personale che serve a dosare il tasso di radiazioni rilasciate. Il m.d,c. deve essere utilizzao con molta cautela e solo in caso di effettiva necessità.
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La TAC, specialmente quella spirale, provvede, nei casi di trauma grave, ad una diagnosi nel tempo più breve e con la maggiore precisione (240). Essa può mostrare tra l’altro anche patologie dell’unità feto-placentare come distacco parziale o totale di placenta, ischemia placentare, emorragie intracraniche fetali.
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Risonanza magnetica nucleare- Se la paziente è in condizioni stabili, lo strumentario è disponibile e soprattutto se si vuol studiare i quadranti superiori dell’addome o una possibile patologia neurologica l’utilizzo della RMN è da preferirsi alla TAC anche in virtù della sua natura non ionizzante (30,95,289).
Effetti sul feto relativi all’esposizione a radiazioni nelle diverse fasi della gravidanza |
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Epoca di gravidanza |
Principali conseguenze |
1a settimana |
Difetto di impianto |
Aborto spontaneo |
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2-15 settimane (organogenesi) |
Teratogenesi |
IUGR |
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Morte |
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Neoplasie post-natali |
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16-40 settimana |
Teratogenesi (rara) |
IUGR |
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Disfunzioni SNC |
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Minaccia di Aborto spontaneo / Parto Pretermine |
MANAGEMENT DEI TRAUMI IN GRAVIDANZA
management del trauma durante la gravidanza richiede un approccio multidisciplinare che coinvolga un chirurgo, uno specialista di medicina d’urgenza, un ostetrico, un radiologo ed un neonatologo. I principi della gestione di queste pazienti sono simili a quelli utilizzati al di fuori della gravidanza, ma un numero di circostanze pressoché uniche devono essere considerate, in particolare: le variazioni fisiologiche della gravidanza, la diagnosi e la gestione dell’abruptio placentare e dell’emorragia feto-placentare, nonché il management dell’arresto cardiaco in gravidanza. Si dovrebbero istituire protocolli e linee guida nazionali ed internazionali di sorveglianza e management per proteggere al meglio una gravida colpita da eventi traumatici (13,14,47-49).
Grande influenza sulla prognosi è esercitata dalla gestione della paziente in fase di primo soccorso “in loco” e nei primi minuti dall’arrivo in ospedale. Anche un trauma maggiore può presentare un favorevole outcome se si procede ad una tempestiva ed “aggressiva” valutazione diagnostico-terapeutica (11). L’assistenza primaria segue il classico protocollo ABC e può essere articolata in 6 punti cardine:
- valutare e supportare la funzione respiratoria e cardiocircolatoria;
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preservare la perfusione ematica utero-placentare, scongiurando la sindrome aorto-cavale;
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effettuare una terapia infusiva anti-ipovolemica;
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utilizzare, se disponibile, il MAST (Military/Medical Antishock Trousers) o PASG (Pneumatic Antishock Garment), apparato per contropressione esterna circumferenziale. La tuta MAST è una struttura monocomponente di tessuto polivinilico ed è capace di sopportare pressioni interne di oltre i 100 mm Hg. Viene impiegata principalmente per contrastare i segni dello shock. Il corpo del paziente viene avvolto dagli arti inferiori (esclusi i piedi) fino alla parte inferiore del torace.
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Bloccare il tratto cervicale della colonna vertebrale
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Porre la paziente in decubito laterale sinistro (15°) per evitare la sindrome da ipotensione supina e l’effetto Poseiro (157)
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Rianimazione Cardio Polmonare (RCP) In caso di arresto cardiaco l’utilizzo del defibrillatore non è assolutamente controindicato (la sopravvivenza del feto dipende da quella della madre; inoltre è dalla tempestività del CPR che dipende la validità neurologica del bambino sopravvissuto); la sequenza dell’A-B-C del BLS non è diversa in caso di trauma, con l’unica accortezza di considerare l’eventualità di lesioni a carico della colonna vertebrale ( testa in posizione “neutrale”; mantenimento in asse di testa e collo) e di evitare la posizione laterale di sicurezza. Tuttavia il BLS pre-ospedaliero in questo caso non mostra grande efficacia nel ripristino della funzionalità cardiocircolatoria spesso inficiata da lesioni che riducono il successo della ventilazione e del massaggio cardiaco (tamponamento cardiaco, pneumotorace a tensione, dissanguamento).Il tasso di successo del CPR in gravidanza non è ben determinato, anche per la notevole difficoltà da fattori meccanici che si incontra nel caso di una gestante al III trimestre il cui utero in posizione supina comprime la vena cava ed è noto che la paziente deve esser supina durante il massaggio cardiaco esterno (American Heart Association manual on Basic Life Support)Secondo lo schema A-B-C bisogna provvedere alla pervietà delle vie aeree (A-Airways), alla ventilazione polmonare (B-Breathing) ed al mantenimento del volume circolatorio (C-Circulating) anche tramite infusione di sangue o plasma expanders. Se non si ha risposta neanche all’ALS (Advanced Life Support) entro 3 minuti, la rianimazione cardiopolmonare (RCP) deve essere continuata e va effettuata una toracotomia per massaggio cardiaco a torace aperto (OCM) ed effettuato quindi un cesareo d’urgenza se il feto ha possibilità di sopravvivere (in proposito vedi paragr. success.).Fornire ossigeno supplementare aiuta ad evitare l’ipossia materna e fetale. Se poi non si temono lesioni della colonna vertebrale si consiglia il decubito sul fianco sinistro in modo da scongiurare l’ipotensione da compressione sulla vena cava (in casi limite si può spostare manualmente l’utero). Quindi inserire un sondino nasogastrico in modo da evitare il rigurgito di materiale dallo stomaco alle vie aeree e di un catetere vescicale a permanenza per evidenziare ematuria.
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Laparotomia In caso di traumi maggiori la laparotomia è spesso richiesta come trattamento di scelta a scopo sia diagnostico che terapeutico. Infatti le lesioni ad organi addominali devono essere riparate ripristinandone la normale funzionalità. La celiotomia da sola non giustifica un taglio cesareo ma varie sono le possibili indicazioni a tale atto. (21 G) Indubbiamente ci troviamo di fronte ad una decisione ricca di responsabilità: lasciare o meno il feto in utero. I recenti progressi tecnologici nella valutazione del benessere fetale ci possono essere di grande aiuto, permettendoci se siamo in epoca pre-termine e le condizioni fetali sono tranquillizzanti di non interrompere la gravidanza.(v.paragrafo sussessivo per approfondimenti)
- Taglio cesareo peri/post-mortem La dicitura “taglio cesareo” ha origine da una legge romana, la Lex Cesar (715 a.C) che stabilisce l’intervento post-mortem per separare i cadaveri della gestante e del feto; il che indica quanto antica sia suddetta pratica (42). Certo è che nell’antica Roma questo non forniva una ulteriore chance al feto. Oggi,invece, spesso un taglio cesareo peri- o post-mortem può salvare la vita di un bimbo. Questa tecnica,indicata in caso di trauma materno fatale, dovrebbe essere effettuata entro 5 minuti dall’arresto cardiocircolatorio materno, anche se sono noti casi, con esito favorevole, in cui l’RCP è continuato anche per 45 minuti prima dell’intervento. Comunque la prognosi fetale dipende principalmente dall’intervallo di tempo intercorso tra arresto cardiaco della madre ed inizio dell’RCP e da quello intercorso tra arresto cardiocircolatorio ed inizio del taglio cesareo, oltre che chiaramente dalla tempestività ed efficienza dell’ equipe di ostetrici, neonatologi, anestesisti… Se però dopo le 32 settimane di gestazione il taglio cesareo deve essere effettuato immediatamente se il massaggio cardiaco esterno risulta inutile, in quanto determina un netto miglioramento della prognosi fetale ed una maggiore possibilità di successo dell’RCP in quanto incrementa il riempimento cardiaco ritorno venoso materno; anche un minimo prolungamento della vita intrauterina di un feto di meno di 28 settimane ne migliora significativamente le chances di vita; infine in un’epoca gestazionale inferiore a 25 settimane il taglio cesareo non è assolutamente consigliabile perché non solo non migliora la situazione materna ma anche il feto ha scarsissime possibilità di sopravvivenza ed in tal caso notevoli sarebbero le sequele neurologiche. Speriamo che nei prossimi anni le conoscenze e le modalità terapeutiche sviluppate saranno combinate in modo da fornire maggiori e migliori possibilità di sopravvivenza fetali intra ed extrauterine post-traumatiche.(2,21h) Indicazione assoluta è posta se l’utero gravidico impossibilita le procedure, sussiste shock materno, gravidanza a termine, lesioni uterine irreparabili, emorragia grave, instabilità in un feto con alte possibilità di sopravvivenza, lesioni alla colonna vertebrale, morte materna.
INDICAZIONI ASSOLUTE AL TAGLIO CESAREO POST TRAUMA |
1. limitazioni meccaniche |
2. shock materno |
3. gravidanza a termine |
4. lesioni uterine irreparabili |
5. emorragia grave |
6. instabilità in un feto “viable” |
7. lesioni alla colonna vertebrale |
8. morte materna |
Farmaci e gravidanza
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