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Displasia cervice uterina

Da dottvolpicelli

DISPLASIA DELLA CERVICE UTERINA

La cervice è la parte più bassa dell’utero, costituisce iil punto di congiunzione tra il corpo dell’utero e la vagina. Prima della pubertà la cervice rappresenta circa la metà del volume totale del corpo dell’utero ed in caso di mancato sviluppo dell’utero (ipoplasia uterina) si continua ad osservare alla scansione ecografica e negli slides isterosalpingografici un alterato rapporto corpo/cervice a favore di quest’ultima. La parte esterna della cervice, il cosiddetto “muso di tinca” o portio”, e la vagina sono coperte da un strato di cellule sottili, dette cellule squamose. La mucosa endocervicale invece, è formata da ghiandole mucose e cellule ghiandolari alte come colonne: le cellule cilindriche o colonnari. La zona di transizione endo-esocervicale è detta giunzione squamo-colonnare o zona di trasformazione perché le alte cellule cilindriche vengono continuamente trasformate in cellule squamose piatte. La zona di trasformazione presenta un alto rischio di degenerazione displasica e neoplastica (1-4).

Il termine “displasia” deriva dal greco “dis” “plasia” e significa crescita disordinata. Al microscopio ottico una sezione istologica cervicale presenta, sopra la membrana basale, una mucosa formata da uno strato profondo di giovani cellule rotondeggianti, che, maturando, si portano sulla superficie diventano piatte. Nella displasia manca questo processo di crescita organizzato; si osserva invece una anomala proliferazione cellulare caratterizzata da atipie nucleari, alterazioni strutturali e numeriche dei cromosomi, alterato rapporto nucleo-citoplasmatico, disordine strutturale citoplasmatico e perdita della normale polarità cellulare.

Nella displasia lieve (CIN I, CIN = Neoplasia Cervicale Intraepiteliale) solamente alcune cellule sono anormali, mentre nella displasia moderata (CIN II) le cellule anormali coinvolgono circa la metà della superficie epiteliale. Invece, nella displasia severa (CIN III o carcinoma in situ), l’intero spessore dell’epitelio è disordinato, ma le cellule anormali non hanno ancora oltrepassata la membrana basale epiteliale. Non tutti i casi di CIN 1 e 2 evolvono necessariamente in carcinoma; molti casi guariscono spontaneamente perché il DNA virale viene perso in concomitanza della normale esfoliazione cellulare al termine del processo di differenziazione. Nel cancro invasivo le cellule non solo sono disordinate in tutto lo spessore dell’epitelio, ma hanno oltrepassato la membrana basale e invaso il tessuto stromale sottostante.

Etiologia: 

1. papilloma virus (HPV), Attualmente è considerato il più comune fattore di rischiodi displasia cervicale. Di solito viene trasmesso sessualmente (ma non sempre). Alcuni sottotipi di HPV  possono causare verruche sulla superficie della cervice, vagina, vulva o nel partner maschile; le infezioni virali primarie che interessano gli strati più superficiali dell’epitelio sono di per sé transitorie e autolimitanti, in quanto il DNA virale viene perso in concomitanza della esfoliazione cellulare al termine del processo di differenziazione. I tipi di virus ad alto rischio oncogeno (hr-HPV), invece, sono capaci di trasformare le cellule sulla cervice così da facilitare la formazione di una displasia e del cancro cervicale. I genotipi virali ad alto rischio più frequentemente implicati nel carcinoma cervicale sono il 16, cui vengono attribuiti circa il 60% di tutti i casi di questa patologia neoplastica, seguito dal 18, responsabile di circa il 10% di tutti i cervico-carcinomi. Il DNA dell’HPV è riscontrato nell 99% dei cervico-carcinoma squamosi e nel 94% dei cervico-adenocarcinomi. Meno aggrssivi risultano i tipi 6 e 11  (5-12).

 Il DNA dei virus carcinogenetici viene integrato nel genoma delle cellule cervicali che acquistano proprietà oncogene come la  perdita di funzionalità dei geni onco-soppressori, quali il gene p53 e pRB ed delle proteine pocket ad essi correlate come p107 e p130. Di conseguenza si instaura una espressione persistente ed incontrollata degli oncogeni virali E6 ed E7. Altri fattori collaborano a produrre profondi disturbi della mitosi cellulare e all’abolizione dell’apoptosi (13-14).

HPV e Displasia cervicale

2. Altri fattori etiologici: possono favorire la degenerazione neoplastica: il fumo, l’uso di farmaci che sopprimono il sistema immunitario (trapianti di organo), contraccettivi orali per lunghi periodi,  numerosi partner sessuali, presenza di altre infezioni genitali (HIV) e la familiarità per la displasia (15).

ANATOMIA PATOLOGICA:

normale epitelio squamoso

Displasia cervicale: CIN I

Displasia cervicale: CIN II, Coilocitosi

Displasia cervicale: CIN III, carcinoma in situ

PREVENZIONE: il tempo che intercorre tra l’infezione e l’insorgenza delle lesioni precancerose è di circa 2-5 anni, mentre per l’insorgenza del carcinoma cervicale è 10-12 anni o più ancora (8-9). Per questo, la prevenzione del carcinoma è basata su programmi di screening (che prevedono visita ginecologica, esame con speculum, thin-prep   oppure pap-test con doppio prelievo (uno per la lettura citologica ed un altro per la tipizzazione HPV: hr-HPV test), colposcopia ed eventuale biopsia mirata. L’interpretazione citologica deve basarsi su sistemi di refertazione riconosciuti quali il Sistema Bethesda 2001.

Questi esami consentono di identificare le lesioni precancerose e di intervenire prima che evolvano in carcinoma (15).

VACCINAZIONE:  per la prevenzione primaria dell’infezione da HPV sono stati messi a punto due prodotti commerciali:   Cervarix® (GlaxoSmithKline), vaccino bivalente per HPV 16 e 18 (tipi ad alto rischio), e il Gardasil® (Merck), vaccino tetravalente per HPV 6, 11 (a basso rischio), 16 e 18 (ad alto rischio). Entrambi i vaccini vengono somministrati in 3 dosi (a 0-1-6 mesi e 0-2-6 mesi rispettivamente). I vaccini sono somministrati a partire dai 9 anni di età. La vaccinazione prima dell’inizio dei rapporti sessuali è particolarmente vantaggiosa perché induce un’efficace protezione prima di un eventuale contagio con HPV (11,12).

Terapia chirurgica:  

La scelta di una terapia medica o chirurgica e le relativa metodiche sono condotti in base alll’estensione e la gravità della displasia, l’età della donna, il suo desiderio di gravidanza ed eventuali altri problemi ginecologici:

  • Isterectomianon è indicata come trattamento di prima scelta: essa può essere presa in considerazione in casi particolari, quali numerose ricorrenze/recidive ovvero patologie uterine associate alla CIN (quali miomi, prolasso o iperplasia endometriale) in pazienti in perimenopausa, oppure in caso di diagnosi di adenocarcinoma in situ in donne non più desiderose di prole.

 

  • Crioterapia:  da utilizzarsi solo per piccole lesioni. La crioterapia è eseguita applicando una criosonda opportunamente sagomata contro la cervice uterina. Si avvale di gas il cui punto di ebollizione è situato fra i -60 e i -80 °C quali CO2, N2, Freon 22. La tecnica più utilizzata, che generalmente non richiede anestesia locale, è quella della coagulazione ripetuta (freeze-thaw-refreeze), nella quale si eseguono due applicazioni sulla cervice distanziate 5 minuti l’una dall’altra, allo scopo di ottenere una profondità di congelamento di almeno 4 mm con un margine periferico si sicurezza di 3 mm nel tessuto sano circostante la lesione. Nell’arco di circa 10 giorni il tessuto necrotizzato si trasforma in escara e viene eliminato, e nei 20-30 giorni successivi avviene una rigenerazione tissutale a partire dai margini periferici, con la produzione di una modesta perdita ematica o più frequentemente di una leucorrea di tipo acquoso. E’ di facile esecuzione, indolore e riscuote elevata compliance dalle pazienti.  Gli svantaggi risiedono soprattutto nella difficoltà a valutare la profondità del trattamento e la sicura eradicazione della displasia.  
  •  Termocoagulazione: per piccole lesioni. Si utilizzano termosonde che applicate localmente producono una temperatura di 90-120 °C e ottengono la distruzione del tessuto per una profondità di 2-4 mm. Valgono le stesse considerazioni fatte per la crioterapia.
  • Diatermocoagulazione  con bisturi elettrico monopolare:  per piccole lesioni.  Nella diatermocoagulazione la lesione cervicale viene distrutta mediante applicazione sul tessuto patologico, opportunamente evidenziato dall’applicazione locale di acido acetico e del liquido di Lugol, di un elettrodo di forma sferica, del diametro di 2-5 mm, previa anestesia locale praticata iniettando circonferenzialmente all’orifizio uterino esterno (OUE) una soluzione di carbocaina all’1-2% addizionata ad adrenalina all’1/100.000, preferenzialmente ad ore 12, 3, 6 e 9; si inizia generalmente dai quadranti inferiori, in modo tale che un eventuale sanguinamento non ostacoli la prosecuzione dell’intervento, che viene eseguito “pennellando” la cervice con l’elettrodo, comandando l’erogazione della corrente mediante un interruttore preferenzialmente a pedale, onde aumentate la precisione dei movimenti che sarebbe potenzialmente inficiata se interruttore fosse posizionato sul manipolo nel quale è innestato l’elettrodo; è consigliato eseguire una pausa tra il trattamento di un quadrante e quello successivo, per ridurre al minimo il disagio legato ad eventuali contrazioni uterine provocate dal passaggio della corrente.

 

  • L’elettrocoagulazione diatermica: differisce dalla metodica precedente in quanto la distruzione del tessuto cervicale appena descritta è preceduta dall’infissione nella cervice di un ago elettrico per una profondità di circa 1,5 cm parallelamente al canale cervicale perifericamente alla lesione, la quale viene poi distrutta, una volta suddivisa in segmenti dall’ago stesso, fino alla suddetta profondità mediante l’elettrodo a sfera. Tale metodica, nonostante permetta di ottenere maggiori tassi di successo in virtù della maggiore profondità di distruzione, fino al 98% delle lesioni indipendentemente dalla loro severità, è più difficoltosa della diatermocoagulazione e richiede talvolta il ricorso alla anestesia generale. La rigenerazione del tessuto asportato avviene generalmente nei 30 giorni successivi al trattamento; per circa 15-20 giorni la paziente noterà perdite vaginali siero-ematiche di entità lieve-moderata, e nei due mesi successivi si assisterà alla completa maturazione del tessuto neoformato.
  • Laservaporizzazione: Il laser ad acido carbonico usa un piccolo raggio di luce per vaporizzare le cellule anormali. Il laser produce un raggio di luce infrarossa che è invisibile all’occhio ed è messa a fuoco dalla lente del colposcopio su un puntino (0.1-2 millimetri). L’area e la profondità di azione possono essere controllate in modo molto preciso. Più del 90% dei pazienti è guarito con un trattamento. Molti studi hanno confermato che non ha pressoché nessun effetto negativo sulla fertilità o sui meccanismi di gravidanza. Viene usata l’anestesia locale. Inoltre alle pazienti viene di solito somministrato un antispastico circa una mezz’ora prima della terapia. La preparazione della paziente è analoga a quella descritta per la diatermocoagulazione: negli interventi laser è preferibile l’uso di speculum di metallo brunito, in modo tale da impedire  accidentali riflessioni del raggio sulla vagina. Evidenziata la lesione e praticata l’anestesia locale, la si delimita circonferenzialmente con piccoli spot, mantenendosi a 2-3 mm di distanza da essa, e successivamente si procede alla vaporizzazione del tessuto per quadranti, iniziando da quelli inferiori, dirigendo il raggio con movimenti verticali. L’emissione del raggio è comandata dall’operatore mediante interruttore a pedale. Dato che la radiazione che induce l’effetto vaporizzante è invisibile ad occhio nudo, lo strumento genera un’altra radiazione laser, coassiale alla principale, di colore rosso, basata sull’eccitazione di una miscela di elio e neon, necessaria per il puntamento. La vaporizzazione vienecontinuata fino a raggiungere una profondità di distruzione tissutale di 8-10 mm., mediante la creazione di un cratere di forma grossolanamente cilindrica.  Dopo il laser può esserci un sanguinamento occasionale che può essere fastidioso, ma solo raramente è serio. Solitamente il tempo e la lunghezza della dimissione o il sanguinamento è minore che nella crioterapia.

 

  • LEEP  (Loop Electrosurgical Excision Procedure),  escissione con ansa diatermica: viene usata un’ansa diatermica che mediante corrente ad alta frequenza consente una conizzazione di rapida esecuzione e con minime complicanze intra e post-operatorie; in particolare il sanguinamento è minimo e la restitutio ad integrum del collo uterino dopo qualche mese dall’intervento molto soddisfacente. Questa tecnica che rispetta l’anatomia e la funzionalità della cervice ha comunque alcuni limiti sostanzialmente legati al possibile danno termico tissutale che talvolta può ostacolare la lettura microscopica dei margini del cono (tessuto cervicale) asportato e nella non praticabilità nelle lesioni ad estensione profonda nel canale cervicale o nelle quali si sospetta una iniziale invasività.
  • Effetto della leep sulle gravidanze successive: L’aver effettuato una resezione cervicale con ansa diatermica si associa ad un aumentato rischio di parto pretermine, parto pretermine dopo rottura di membrane e di nascita di bambini di basso peso nelle gravidanze successive alla procedura. E’ giunto a questa conclusione uno studio retrospettivo, condotto in Canada, che ha valutato l’esito della gravidanza in 571 donne che erano state sottoposte tra il 1992 ed il 1999 a LEEP e che avevano successivamente avuto una gravidanza singola che era proceduta oltre la 20a settimana (16).
  • CONIZZAZIONE A LAMA FREDDA:  trova oggi indicazione, dopo l’introduzione della leep, in due soli casi: carcinoma microinvasivo in giovani senza prole e lesioni pre-neoplastiche  ghiandolari dell’endocervice (necessità di inviare all’esame istologico un pezzo intero unico, ben orientabile e con margini regolari ed integri). La conizzazione a lama fredda presenta maggiori  difficoltà e rischi operatori (17-18).

 

Displasia cervicale in gravidanza: insorta in gravidanza o pre-esistente ad essa. La gravidanza non modifica l’evoluzione naturale della CIN, e talvolta, in caso di L-SIL, si osserva la scomparsa della lesione in puerperio, forse a causa dell’asportazione dell’epitelio patologico durante il parto vaginale, e visto l’elevato rischio di complicanze ostetriche successive ad interventi sulla cervice in gravidanza (quali emorragia ed aborto spontaneo), si preferisce adottare una condotta di attesa, con esecuzione del trattamento dopo 6-12 settimane dal parto, riservando la possibilità di intervento pre-partum solo in caso di H-SIL.  Il trattamento, escissionale, da eseguirsi preferenzialmente tra la 14a e la 20a settimana, deve essere eseguito in regime di ricovero ospedaliero, sotto guida colposcopica, limitando il più possibile l’estensione del tessuto asportato e con esame istologico estemporaneo eseguito in sala operatoria  (14).

Se viene diagnosticato un carcinoma invasivo della cervice, deve essere considerata la volontà della paziente circa il momento del trattamento in funzione della vitalità del feto e dello stadio della malattia. Non ci sono prove che la gravidanza di per sé influenzi negativamente l’esito del carcinoma cervicale. Se un carcinoma è diagnosticato nelle prime 20 sett. di gravidanza, si può ricorrere, dopo l’aborto, a isterectomia radicale e linfadenectomia o un’irradiazione della pelvi in toto, seguita dall’applicazione intravaginale di radio. Ci sono prove, tuttavia, che in corso di gravidanza la chirurgia radicale dia risultati migliori della radioterapia. Il trattamento può essere ritardato fino alla vitalità del feto, 32 settimane, se la paziente desidera accettare un rischio non quantificabile. In prossimità del termine è preferibile eseguire un parto cesareo associato all’isterectomia radicale e alla linfadenectomia. Il parto per via vaginale è controverso, ma, probabilmente, non modifica l’esito. In casi selezionati, la chemioterapia può indurre la regressione del tumore prima della terapia radiante definitiva o della chirurgia e permettere al feto di maturare fino a uno stadio vitale.

 

Radioterapia: trattamento valido in alcuni casi e del tutto indolore; inoltre le radiazioni possono colpire aree ben definite che comprendono l’utero, ma anche le zone adiacenti in caso di malattia diffusa. Oltre alla radioterapia tradizionale nella quale la fonte di radiazione è esterna, esiste oggi anche la brachiterapia, ovvero l’inserimento nell’utero di piccoli ovuli che emettono radiazioni. Sia la terapia esterna sia la brachiterapia mantengono intatto l’apparato riproduttivo e non modificano in molti casi la capacità di avere figli.

Chemioterapia: riservata alle forme avanzate o invasive. Vengono somministrati per via endovenosa diversi farmaci contro il tumore, spesso combinati tra loro, tra i quali cisplatino, paclitaxel, topotecan eccetera.

Terapia medica:

  • Finderm forte beta® crema vaginale  con 7 applicatori, ovuli (ac. ialuronico, acido 18-ß-glicirretico che presenta proprietà lenitive e antinfiammatorie, e la vitamina A che esplica un’azione protettiva dell’epitelio. Contiene inoltre: polycarbophil, capace di mimare la funzione del muco cervicale aderendo alle pareti vaginali e mantenendone idratazione e lubrificazione per 48/72 ore. 1 applicazione al giorno per 21 giorni e quindi a giorni alterni per 3 mesi. Aiuta a proteggere e favorire la riepitelizzazione della zona di trasformazione cervicale allo scopo di prevenire il rischio di lesioni indotte dall’HPV; Ripara e riepitelizza le lesioni della mucosa cervico-vaginale.
  • Plurigin ovuli (collagene idrolizzato)
  • Colpofix gel vaginale nebulizzabile: carbossimetil-β–glucano,  modulatore immunitario per il trattamento delle zone di trasformazione cervico-vaginali. Si consigliano tre cicli di terapia (applicazione locale di 5 buff di colpofix  x 3 volte al dì) della durata di 20 giorni con intervalli di 10 giorni.
  • Cicatridina ovuli (ac. ialuronico): un ovulo a sera da introdurre in vagina a sera per una durata simile a quella con colpofix 
  • Santes ovuli vaginali (ac. ialuronico + Vit E + Vit A)
  • Turnover Plus ovuli vaginali (Polinucleotidi + Terpinolo): i polinucleotidi migliorano tempi  e qualità della riepitelizzazione mentre il terpinolo previene e contrasta infiammazioni ed infezioni.

 

FOLLOW UP:  un requisito indispensabile all’esecuzione di un trattamento conservativo è la disponibilità della paziente a sottoporsi a successivi controlli adeguati. Nessun trattamento è in grado di garantire l’eradicazione della CIN nel 100% dei casi, nonostante i vantaggi teorici offerti dalle metodiche escissionali (diagnosi istologica di eventuale microinvasione o lesione ghiandolare, valutazione dei margini del cono), e non è stata dimostrata la reale superiorità terapeutica di un metodo rispetto ad un altro. Inoltre è stato dimostrato che il rischio di sviluppare un carcinoma invasivo, cervicale o vaginale, nelle donne trattate rimane più elevato rispetto alla popolazione generale, per un periodo di 20-25 anni, con una percentuale del 0.3‰.  In generale il rischio di ricorrenza/recidiva di CIN rimane più elevato nei due anni successivi al trattamento, ed appare essere associato all’età della paziente (>40 anni), alla presenza di lesioni di alto grado, interessamento ghiandolare, escissione incompleta, così come la persistenza cervicale di ceppi di hr-HPV.   Un trattamento escissionale è altresì comunque consigliato in caso di ricorrenza/recidiva di CIN. Nonostante non vi siano condotte di follow up universalmente accettate, si consiglia l’esecuzione di pap test e colposcopia ogni 6 mesi per 2 anni, ed un controllo annuale per altri 5 anni. Una condotta alternativa può essere l’esecuzione di pap test, colposcopia ed rh-HPV test (Hybrid Capture 2 Test) dopo 6 e 12 mesi  (19-31).

Terminologia:

  • CIN: cervical intraepithelial neoplasia, neoplasia intraepiteliale cervicale. CIN I = displasia lieve (grado basso) CIN II = displasia moderata (grado alto) CIN III = displasia severa o (grado alto)
  • SIL = Squamous intraepitelial Lesion; L-SIL =  low-grade = lieve displasia; H-SIL high-grade SIL = grave displasia  
  • carcinoma-in-situ (o carcinoma intraepiteliale):  si intende una proliferazione di cellule epiteliali atipiche che presentano vari caratteri morfologici e biologici di malignità, ma non possiedono, in quel momento,  la capacità di superare la membrana basale nè di diffondersi per via ematica o linfatica.
  • hr-HPV test: test per la ricerca di HPV ad alto rischio oncogeno (HPV 16 e 18)
  • Carcinoma in situ, qualitativamente simile al CIN III.  La fase “in situ” è l’ultima e la più grave delle displasie cervicali. Nella classificazione TNM, si indica con la sigla TisN0M0, vi sarà sempre assenza di coinvolgimento linfonodale (N0) e metastatico (M0). Lo stadio di questo tipo di tumore è sempre lo stadio 0.
 

 

Queste pagine fanno parte del sito fertilitycenter.it in internet da marzo 2011. I testi, le tabelle, i disegni e le immagini pubblicati in queste pagine sono coperte da copyright ma a disposizione di tutti per copia e riproduzione purchè venga citata la fonte con link al sito www.fertilitycenter.it

Ringrazio i lettori per la loro cortese attenzione e li prego di voler comunicare le loro osservazioni e consigli su eventuali errori o esposizioni incomplete.

 Enzo Volpicelli

References: 
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21 commenti

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